A tredici anni dalla morte di Toti Scialoja, la Fondazione Toti Scialoja promuove il volume, curato da Fabrizio D’Amico, Scialoja. Le carte (De Luca Edizioni, 2011) che analizza, in maniera inusuale, il suo disegno dal 1938 al 1996. Il disegno di Scialoja nasce “senza mai essere banalmente un progetto, uno stadio preparatorio e dunque imperfetto dell’opera maggiore, e a esso subordinato”. Se, all’inizio, “un disegno minuziosamente condotto s’era incaricato di tutto, di sostituire una pittura che ancora non c’era”, col passare degli anni cerca “in campi dove la pittura non osava avventurarsi” (1953-1954), sonda le ipotesi astratto-concrete, affianca il lavoro condotto con lo straccio in luogo del pennello e la pittura affidata al gesto, si qualifica con la scoperta dell’impronta (1957) come evento del tutto nuovo nell’ambito del tradizionale concetto di ‘disegno’. Da questo momento l’opera su carta “torna a rivestire un ruolo ad essa riconosciuto dalla prassi pittorica” (1961-1964), “si mostra idonea a sperimentare in una dimensione più raccolta quei pensieri sulla scansione ormai nettamente separata dai campi delle impronte” (1965-1975), coltiva “il sospetto verso una pittura che possa confessare il proprio ‘intero’ sulla superficie” (1976-1982), si assume il compito di cercare quella “maggiore libertà che ormai gli preme dentro come necessità incoercibile” (1983-1998).